Il 1 luglio al Comune di Mercato San Severino si è svolta la presentazione del libro La reggia Albertiana del principe di San Severino a Mercato di Beppe Pizzo, un rifacimento del primo volume del 2012.
Palazzo Vanvitelliano? Ma è davvero così?
Mariano Ciarletta, Mediatore della serata, ci ha tenuto a sottolineare che: Pizzo prende come punto di riferimento Bloch, nell’apologia della storia, quando afferma che il mestiere dello storico è quando prende confidenza con gli elementi dell’osservazione storica tramite il recupero delle fonti per verificare le committenze. altro riferimenti è Cinzia Volante che afferma che mette in relazione micro e macro storia. Nel 2021 siamo davanti alla distruzione della memoria, oggi i giovani non conoscono le fonti, che restituiscono sempre un racconto, come nel caso della famiglia S. Severino. Delogu
Il sito preso in analisi fu prima convento domenicano e poi palazzo, qual è la committenza? Partiamo con una riflessione storica curata da Maria Anna Noto, docente alla facoltà di lettere dell’Università degli studi di Salerno. Il meridione è un territorio di nobiltà tra cui i S. Severino. Alcune fonti utili a tal proposito sono: Biagio di Mari, Bernardo candida, Scipione Amirato, Cabotto, giornale araldico, Aurelio Musi, storia della famiglia S. Severino
Michele Citro, curatore della casa editrice Paguro afferma che ci sono ricerche che attestano che alcuni della scuola di L. A. Alberti siano intervenuti nell’architettura prima di Vanvitelli, che si sarebbe occupato del restauro e sottolinea come una buona casa editrice debba curare l’attenzione verso pubblico e gli autori.
Partendo dal titolo del libro, la professoressa Noto continua la sua riflessione. Reggia volutamente scelto per sottolineare la dimensione della Corte feudale perché il mezzogiorno è soggetto dal Medioevo alla monarchia, che si confronta con l’aristocrazia sempre su un gradino inferiore, cosa che non si verifica al centro nord per i contatti del Sacro Romano Impero, che lascia spazio alle famiglie nobili che trasformano le signorie in potentati. Al sud, la monarchia mediata dai viceré. I Nobili sono spesso come dei re dei propri domini.
Albertiana per ispirazione culturale. Importante è l’Umanesimo meridionale aragonese, tramite Alfonso il magnanimo che crea un collegamento con l’area catalano-aragonese. Con Ferrante poi abbiamo la nazionalizzazione della dinastia aragonese e lo scontro con i baroni
S. Severino è una famiglia di antica origine, che nel 400 rafforza la sua presenza sul territorio. Il sud é uno Stato feudale, con grandi territori formati da più feudi che hanno come elemento aggregante la famiglia e che a volte non hanno continuità territoriale. Si afferma lo stato monarchico e i feudatari assumono un ruolo inferiore, diventando funzionari statali, poiché l’amministrazione è indiretta e delegata al baronaggio. L’attribuzione a cui tutti ambivano tra cui i S. Severino (e che ottiene) è il merum et mistum imperium, l’amministrazione di giustizia civile e penale (o criminale) con la podestà del Gladio.
Mercato, termine di antica ascendenza, richiama la vocazione commerciale del territorio, luogo strategico per posizione e adibito a luogo di scambi.
Notevole è l’ardore dell’autore, che si avvia su una prospettiva diversa. L’ipotesi ridimensiona l’intervento settecentesco e dunque le suggestioni Vanvitelliane avrebbero ispirato le maestranze, ma non è documentato un intervento diretto dell’architetto.
La Prefazione di Stefano Borsi avvalora la tesi riportando le fattezze attuali al Rinascimento tramite le fonti domenicane. È nato come palazzo del principe e poi destinato si domenicani come promessa di Roberto S. Severino che regala la sua residenza locale all’ordine. Avevano corte feudale nelle regioni e un palazzo di rappresenta a Napoli. Nella postfazione di Giuseppe Rescigno viene contestualizzata la tematica e inserita nella storiografia sul territorio, una documentazione sistematica sulla storia S. Severinese realizzata dal gruppo di studiosi capeggiati da A. Musi.
La fine del lignaggio familiare è dovuta alla ribellione dell’ultimo principe contro il monarca perché voleva dialogare da pari a pari.
A fine 500 Caracciolo di Avellino dominerà S. Severino, una super regione, con coerenza interna. Aveva 3 poli politici: stato feudale, diocesi, città di casali, ossia comune composto da tante frazioni, senza centro urbano, ma con tanti casali per funzioni che in un sistema formano l’insieme, tutti tra loro interconnessi.
Il patrimonio culturale deve diventare bene comune. La storia è trasversale, dà competenze trasversali, la storia deve essere bene comune come afferma l’appello manifesto del 2019 di Andrea Giardina (giunta centrale istituti storici), Liliana Segre e Andrea Camilleri, contro l’eliminazione della prova storica nell’esame di Stato. La Storia ha principio di democrazia e cittadinanza attiva perché è un sapere critico, non uniforme e aperto al dialogo.
Giuseppe Pizzo, tramite la documentazione ha scoperto che ai lavori del 1770 mette mano Carlo Pica Calvanese, di Lanzara, Vanvitelli non ha mai lavorato all’opera. Nel neoclassicismo si usano soprattutto lesene, qui invece sono 8 colonne in successione con distanza e altezza uguale. Anche mettendo a confronto i costi della chiesa di S. Rocco a Siano, si evince che i lavori siano di ristrutturazione. Nei documenti del 700 non sono menzionati né
colonne né tetto. Inoltre nella chiesa di S. Giovanni è presente un affresco che rappresenta il castello del 400. Già Borsi aveva accennato al fatto che Alberti venga a Napoli nel 1465 proprio per mettere mano al convento domenicano di S. Severino
Marina d’Aprile, università Luigi Vanvitelli afferma che la Ristrutturazione dal 1770 fino ad oltre il 1775 è portata avanti da Michelangelo Arinelli che lascia una testimonianza dei lavori in cui c’è anche Carlo Calvanese. Poiché minacciava rovina già nel secolo precedente il chiostro viene demolito e ricostruito, modificando forma e numero di archi e viene costruito lo scalone. Le murature a viste sono tipicamente 700esche con tecnica muraria a filari. L’Arinelli ha voluto conservare la facciata originale.
Dunque come afferma Romiti bisogna fruire l’archivio verso l’esterno, per arrivare a un impiego consapevole della fonte.