A cura di: Andrea Ventura, Giusy Esposito, Roberta Salvati.
Il 16 settembre 2022 Mahsa Amini muore dopo tre giorni di coma dovuto a violenze e traumi ripetuti. Arrestata dalla polizia religiosa iraniana, il 13 settembre, Mahsa Amini ha una sola colpa, ovvero non aver indossato correttamente l’hijab obbligatorio secondo le leggi del regime iraniano. Ferite riconducibili ad un pestaggio, lesioni cerebrali, emorragie, lividi sulle gambe, fratture ossee ed edemi sono stati inflitti ad una ragazza di appena ventidue anni, causandone la morte.
A seguito della sua morte, nascono a cavallo tra i mesi concludenti del 2022 e l’inizio del 2023, diverse proteste che si sono successivamente riunite in un unico coro, il Mahsa Amini Protest Movement. L’obiettivo è combattere contro il regime iraniano e la polizia religiosa, affermandone di quest’ultima l’illegalità, e ottenere maggior libertà di espressione, di far politica e vivere la socialità per le donne. Si tratta della minaccia più esistenziale che il regime iraniano abbia mai affrontato dopo la guerra Iran-Iraq degli anni Ottanta.
Le province di Teheran, Esfahan, Kurdistan e Azerbaigian occidentale rappresentano, almeno in prima istanza, quasi il 40% delle attività di protesta osservate, che variano in modo significativo a seconda dei giorni e delle province. I tentativi di repressione attuati dal regime iraniano sono brutali e tra condanne a morte e dispiegamento delle forze di terra dell’IRGC nelle province del Kurdistan e dell’Azerbaigian l’affluenza al movimento anti-regime è calata.
Tuttavia, anche se le proteste si manifestano diversamente a seconda del periodo e della partecipazione, la loro persistenza è una caratteristica notevole del movimento e mette a dura prova il regime e le sue forze di sicurezza.
Uno degli ultimi eventi che caratterizzano il regime iraniano è il sospettoso avvelenamento di centinaia di studentesse in tutto il paese. Questi attacchi sono stati diramati in numerosissime scuole posizionate in diverse città e sono iniziati a novembre nella città santa musulmana sciita di Qom, provocando il ritiro di molti studenti e studentesse a causa del terrore innescato negli animi dei loro familiari. Sul tema, sono interventi sia il presidente iraniano Ebrahim Raisi sia il ministro della sanità Bahram Eynollahi ed hanno affermato che questi attacchi sono stati diretti da diversi gruppi religiosi contrari all’istruzione femminile ed al regime iraniano.
Nella seguente illustrazione è possibile notare i diversi posizionamenti geografici degli attacchi finora descritti.
Nonostante le numerose proteste, i diversi conflitti e gli inutili tentativi di mediazione e collaborazione politica, l’obiettivo della risoluzione dei problemi evidenziati dal caso emblematico della morte di Mahsa Amini resta ancora incompleto. Numerose le attiviste che si espongono in prima linea sul tema, indifferenti ai possibili rischi, come ad esempio Pegan Moshir Pour, intervenuta pochi giorni fa durante la trasmissione televisiva rai “Timeline”, durante la quale, riferendosi al tema delle donne, della vita e della libertà e a ciò che è successo alle numerose studentesse, ha affermato che ciò non dovrebbe accadere e la sua rappresentazione mediatica è ingannevole, dal momento che questi attacchi sono diretti da agenti politici e religiosi interni al regime iraniano e non sono condotti da “nemici dell’Iran”. Inoltre, continua affermando che le proteste non si fermeranno fin quando non si realizzerà un cambiamento concreto per le donne iraniane che ormai lottano da anni per ottenere maggior libertà politica e sociale.