Dalla piccola Elena al caso di Diana, i figlicidi occupano spesso le pagine di cronaca dei giornali. Ma cosa spinge le mamme a uccidere i propri bambini? E cosa si nasconde dietro queste tragedie?
L’uccisione di un figlio per mano materna rappresenta nell’immaginario collettivo il più orribile dei delitti. Esso è considerato contro natura poiché incompatibile con il primordiale istinto di protezione genitoriale. Per questo desta un maggior senso di inquietudine quando ad uccidere è proprio la madre: colei che dà la vita.
E’ in questa cornice che lo scorso 13 giugno si è consumato uno dei delitti più inquietanti della storia della cronaca nera del nostro Paese, un evento che faceva pensare al rapimento della piccola Elena Del Pozzo per mano di 3 malviventi incappucciati come inizialmente raccontato ai carabinieri da sua madre, Martina Patti, la quale dopo quasi 24 ore è crollata e ha confessato prima a suo padre e poi agli inquirenti che in realtà era stata lei ad uccidere la propria figlia, ad avvolgerla in sacchi neri di plastica e a seppellirla in una buca scavata in un campo poco lontano da casa. I primi esiti dell’autopsia purtroppo rivelano che questa madre ha inferto alla propria creatura ben 11 coltellate di cui una in particolare si è rivelata letale. Alla base di questo orrendo delitto pare proprio non esserci alcun segno di infermità mentale, anzi, la donna era nel pieno delle sue facoltà fisiche e psichiche quando ha ucciso la figlia essendosi procurata gli attrezzi per scavare la buca in un luogo isolato dove seppellire il cadavere. La giovane madre era ossessionata dalla fine della relazione con il padre di Elena e dal fatto che la piccola si stesse affezionando alla sua nuova compagna.
Morta per mano della madre è stata anche la piccola Diana di solo 18 mesi ritrovata morta a Milano lo scorso 20 luglio. In questo caso nessuna causa di decesso evidente, violenta, in pratica uccisa dagli stenti. Sarebbe morta così Diana Pifferi, sua madre Alessia, l’avrebbe lasciata da sola per sei giorni mentre lei era a casa del fidanzato nella Bergamasca. Alessia Pifferi è partita dalla torrida metropoli giovedì 14 luglio ,è stata assente per ben 6 giorni ed al suo arrivo il cuore del piccolo corpicino di Diana aveva smesso di battere per sempre. Quando è partita avrebbe somministrato un potente sedativo alla bambina, l’ha adagiata su un improvvisato lettino da campeggio, le ha lasciato accanto un biberon di latte e se n’è andata. Insomma, per la donna, probabilmente la figlia era un accessorio o, forse, un ostacolo alla vita di svago e divertimento che in realtà avrebbe voluto vivere.
Ma non ci si trasforma improvvisamente in mamme omicide. Fattori di rischio sono sicuramente l’età giovane, un livello di istruzione basso e anche intellettivamente non brillante, spesso condizioni di basso livello socioeconomico. A tutto questo vanno aggiunte alcune condizioni di rischio familiare e ambientale, di cui la fine di una relazione può essere considerata un esempio. Da qui scaturisce la “sindrome di Medea”: comportamento di una madre (nel mito, Medea, la figlia della maga Circe) che mirava a distruggere il rapporto fra il padre (nel mito, Giasone) e i figli, soprattutto in seguito a una separazione conflittuale. Secondo la narrazione, Medea arrabbiata con il compagno Giasone che si era innamorato di un’altra donna decide di vendicarsi. È talmente accecata dall’odio, però, che arriva a mettere da parte la propria maternità, il proprio patto naturale di protezione nei confronti dei figli, e arriva a ucciderli…tale complesso sembra aver spinto Martina Patti al fatidico gesto.
Molto spesso, poi, ci sono donne che non sviluppano l’attaccamento perché quel figlio o quella figlia proprio non l’hanno mai voluta: questo appare il destino di Diana. Nessuna biologica predisposizione all’amore e all’annullamento della propria persona, come invece vorrebbe la tradizione. Accantonato lo stereotipo, quindi, non si può non prendere atto che le madri, troppo spesso, e la cronaca degli ultimi mesi ce lo conferma, cercano di dissimulare le loro ansie per adeguarsi alle aspettative sociali. I sentimenti negativi non possono essere comunicati perché “diventare mamma deve essere bellissimo”. Anzi, nell’epoca di Instagram, bisogna addirittura adoperarsi nel mostrare una felicità che, purtroppo, spesso dura il tempo di una story. Nell’antica Roma era pratica accettata che la madre facesse morire un figlio lasciandolo volontariamente al freddo. Sono passati secoli. Ma, se è vero, come dimostra la letteratura scientifica, che biologicamente l’istinto materno non esiste, per quale ragione cosmica le leggi della biologia non donano un figlio a chi, pur cercando disperatamente, non riesce ad averlo? Mentre, al contrario, lo fa crescere nel grembo di donne criminali?