Ho deciso di trattare della guerra all’Ucraina parlando di una cosa nuova, perché per me ormai la guerra di questo secolo non si fa più nelle trincee. Questa tipologia di guerra è superata, non si può pensare di combattere come prima tra due superpotenze che hanno la bomba atomica. Per me la nuova tipologia di guerra è la cyber guerra e i social, ormai la guerra si svolge in rete e con la propaganda. Qui non esiste giusto o sbagliato, ma è tutto sbagliato e qui non si incolperà nessuno, non ci sono provocatori ma solo follia. Putin (uso questo nome, perché molti russi non sono d’accordo con questa guerra, pertanto non mi pare giusto incolpare l’intera nazione di questa guerra) ha deciso di attaccare rischiando di essere processato dal tribunale internazionale dell’Aja per crimini contro l’umanità e per crimini di guerra. Le sanzioni occidentali stanno funzionando (purtroppo a danno dei russi che devono pagare le conseguenze di una guerra non voluta): molti russi stanno recuperando i loro denari dalla banche, perché hanno paura di perderli (dato il tonfo della valuta russa).
Inoltre si respira un dissenso interno anche se duramente represso (come sempre, ricordiamoci che Putin è stato il mandante di molti omicidi politici) quindi si spera che presto finisca, ed è molto difficile che si inizi una guerra mondiale o che Putin avanzi, avrebbe potuto se non avesse incontrato resistenza dell’Ucraina. A quel punto avrebbe attaccato tutti credendo di avere a che fare con un Occidente debole (vista la disastrosa ritirata dall’Afganistan) e perché aveva un alleato, la Cina. Peccato (per lui) che la Cina non abbia mostrato fin ora alcun tipo di sostengo alla Russia, ma si sia mantenuta piuttosto fredda e imparziale perché alla Cina per proliferare serve la pace non la guerra, quella serve solo alla pazzia di Putin. Solo un uomo ha messo fine a 70 anni di pace in Europa, ma gli ucraini hanno stravolto i suoi piani e le sue mire espansionistiche e a questo non era pronto.
Possiamo dire che non aveva fatto bene i calcoli e non sapeva con chi aveva a che fare, sperava in un occidente al tramonto e quindi in una buona possibilità per inserirsi, ma non ha ottenuto altro che una ricomposizione dell’occidente contro di lui, che ora è sempre più solo nel mondo, al suo fianco c’è solo il fidato amico di varie tragedie Lukashenko ossi il presidente della Bielorussia.
I soldati e il popolo ucraino hanno la vicinanza di tutt’Europa e stanno resistendo anche perché molto più motivati di un esercito russo, ormai fiacco, con grosse difficoltà di rifornimento di scorte alimentari e non solo. Chi sa se alla fine il suo stesso esercito non gli si rivolti contro e quello che lui voleva fare all’esercito ucraino, cioè defenestrare Zelensky, non accada a lui.
Perché la Russia ha deciso di invadere l’Ucraina?
Ci sono due ordini di spiegazioni, una storica e una strategica. La prima, usata da Putin nel suo discorso che ha giustificato l’intervento, affonda le sue radici all’epoca dell’URSS e nello status dell’Ucraina, i cui confini sarebbero stati tracciati non tenendo conto della forte presenza russofona nei suoi confini. In Crimea e Donbass i russi rappresentano tra l’80% e il 90% della popolazione. Popolazione che ha manifestato la sua volontà di ritornare nel grembo della Grande Madre Russia. È altrettanto vero che nel resto del Paese si guarda a Occidente e la richiesta di entrare nell’Ue e nella Nato va in questa direzione. Proprio a questo proposito si individua la ragione strategica. Dal crollo dell’Unione Sovietica, e dalla successiva devastante crisi economica del 1991, Mosca ha visto la progressiva adesione di gran parte dei Paesi del Patto di Varsavia all’Alleanza Atlantica. Ad oggi la Bielorussia è l’unico alleato nell’area. L’Ucraina con le truppe Nato è un fianco scoperto troppo vulnerabile per la Russia che, in effetti, non ha barriere naturali per rallentare un’eventuale invasione da ovest.
Chi è Anonymous e cosa fanno?
Il gruppo di hacker, l’esercito digitale composto da uomini e donne comuni, della “classe operaia” come si sono auto-definiti, non è nuovo ad azioni simili. In passato, e anche recentemente, hanno operato contro diversi governi, come quello egiziano e tunisino, hanno agito contro l’Isis e il KKK. Sembra che il movimento si sia formato nel 2003 all’interno di 4chan, sito imageboard dedicato soprattutto alla pubblicazione di immagini anime e manga: qui agli utenti che accedevano senza identificarsi veniva assegnato il nickname “Anonymous”, che finì per essere identificato come una persona reale. La maschera rappresenta i lineamenti stilizzati di Guy Fawkes, membro della congiura delle polveri che il 5 novembre 1605 cercò di fare saltare in aria con l’esplosivo la Camera dei Lords inglese. Questa rappresentazione è stata creata nel 1982 dall’illustratore David Lloyd per la serie a fumetti V per Vendetta di Alan Moore. Anonymous si descrive come un gruppo di aggregazione su internet e lotta in nome della libertà di espressione e per la libertà di internet. Nel video intitolato What/Who is Anonymus, il gruppo dichiara: “Anonymous è un’idea, è una bandiera che raduna chi vuole giustizia e gli onesti nel mondo”. Anonymous non ha una leadership dichiarata, membri ufficiali o un’organizzazione centrale, ma coordina le proprie operazioni unendo un numero diverso di persone, che comunicano tra loro attraverso le chatroom. Dall’altro lato, però, il gruppo “può essere in alcuni momenti ben organizzato”, afferma uno dei più grandi esperti di Anonymous dell’università McGill di Montreal, in Canada. “In ogni preciso momento, ci sono piccoli team che lavorano dietro le quinte per guidare in maniera estremamente efficace grida di protesta spontanee e rabbia collettiva, per poi permettere una più ampia partecipazione nelle diverse operazioni”.
Il conflitto fa leva, infatti, su una escalation di tecniche e tattiche cibernetiche che vanno a incidere prioritariamente sulla sfera emotiva di una comunità, puntando ad indebolirla attraverso la creazione di dubbi e incertezze idonei a generare nell’attaccato la percezione di un attaccante capace di esprimere una forza soverchiante e tale da indurre l’opponente ad accettare più agevolmente le condizioni per la resa. È una guerra che, pur non neutralizzando le capacità di impiego della forza da parte dell’avversario, si insinua tra le crepe di una supposta inferiorità, piegandone il volere sino alla resa.
Ci si trova, insomma, a fronteggiare una guerra in cui i fiancheggiatori non sono solo i tradizionali Stati amici, ma possono esserlo anche gruppi che non vestono l’uniforme, che non hanno prestato un giuramento di fedeltà alla Patria, che non hanno un’identità e un quadro di regole di ingaggio a cui obbedire: oltre a Sandworm, difatti, i russi sono appoggiati da altri threat actors aggressivi, come Conti, che ha creato l’omonimo potente ransomware, Red Bandits (che si descrive come un gruppo di cyber criminali russi) e Coming Projects (un gruppo che crea ransomware).
Il noto gruppo attivista internazionale “Anonymous”, sul proprio account twitter ha dichiarato “guerra cibernetica” alla Russia e ha già provocato un breach sul sito del ministero della Difesa russo, pubblicando online tutti i database lì disponibili. Permane il dubbio che dietro Anonymous possano anche celarsi apparati di Stati occidentali intenzionati a sostenere, seppur non dichiaratamente per ovvi motivi, la causa del popolo ucraino.
L’esperienza ucraina ci conferma come la disponibilità di tecnologie e competenze cibernetiche avanzate abilitino la consumazione di guerre che nascono, si diffondono e spengono alla velocità della luce, guerre in grado di abbattere ogni barriera imposta dalle distanze e dai confini fisici e politici di una nazione (si dice infatti che la cyber war ha sostituito i confini nazionali con quelli meno palpabili dei fire-wall), guerre in cui l’”imboscata” tradizionale è soppiantata da un “effetto sorpresa” cibernetico perpetrato con malware sconosciuti e insidiosi, che rendono lo scenario ancor più complesso e incerto.
Si tratta di guerre che possono essere combattute con armi tecnologiche molto più economiche delle armi tradizionali. E anche le nazioni con minori disponibilità finanziarie possono più agevolmente equipaggiare delle “cyber troops” o arruolare threat actors esterni agli apparati statali in grado di scatenare efficaci attacchi contro Stati che nei domini storici (air, land, maritime) sono considerati “potenti”.
In questo complesso scenario di precari equilibri geo-politici mondiali, in cui sempre più spesso la spregiudicatezza di alcuni governanti induce a ricorrere alla guerra per il perseguimento di fini politici non conseguiti attraverso la diplomazia, è imprescindibile, per la stessa sopravvivenza dello Stato, percorrere quattro direttrici. Primo, sviluppando opportunamente tra le Istituzioni e la società civile un elevato grado di sensibilità sul tema, nella consapevolezza che si è ormai entrati in uno stato di guerra cibernetica permanente. Poi, abilitando gli attori istituzionali attraverso la definizione di un chiaro quadro normativo e ben strutturate regole di ingaggio, ad esercitare in tutta la sua pienezza il ruolo di tutori della sicurezza cibernetica nazionale, autorizzandoli all’implementazione di contromisure cibernetiche di deterrenza e dissuasione verso gli attaccanti. Terzo, investendo massivamente in formazione, sin dalla tenera età, nelle discipline afferenti al dominio cyber per creare un vivaio di risorse che renda sostenibili nel lungo periodo le politiche di sviluppo e crescita delle competenze necessarie ad irrobustire la capacità di difesa cibernetica nazionale. Infine, favorendo lo sviluppo di prodotti e tecnologie nazionali proprietarie anche attraverso il ricorso a partnership pubblico-private e dedicati incentivi all’industria che investe in ricerca e sviluppo nel settore cyber.